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E smantelliamoli ‘sti stereotipi!

Rispetto al passato, oggi si conosce molto meglio il lavoro dello psicologo. Ci sono film, canali YouTube, serie TV, blog, interamente dedicati a tale ambito scientifico. Certo, non è detto che tutto sia fedelissimo alla scienza psicologica reale/ufficiale, poiché non dimentichiamoci che si tratta spesso di spunti “spettacolarizzati”, resi tali per intrattenere un pubblico e per acquisire Like. Tuttavia, penso siano di grandissimo aiuto perché fanno crescere la curiosità circa il mondo Psy, sempre più visto come una risorsa preziosa a cui attingere.

C’è un però: nonostante se ne parli parecchio, nella vita di tutti i giorni permangono ancora certi retaggi fuorvianti.

Bene, vediamo più in dettaglio alcuni di questi pregiudizi e luoghi comuni sullo psicologo e il suo lavoro:

 

1) In seduta si parla sempre e solo di problemi

Partiamo dal presupposto che si può parlare di qualsiasi cosa durante un colloquio clinico. Davvero, non ci sono confini. Il paziente può portare qualsiasi parte di sé e del suo mondo, e insieme allo psicologo, capirne il senso (anche di ciò che non viene detto).

Molte persone immaginano una seduta come uno sfogo, un momento in cui si paga qualcuno per stare ad ascoltare i problemi, farsi un bel pianto liberatorio e stop. Certo, può anche capitare questo, ma durante un percorso psicologico si provano praticamente tutte le emozioni possibili, belle e brutte, al pari di un viaggio: momenti di euforia, di sconforto, di rabbia, di gioia, di noia, di entusiasmo, di distacco, di intimità, di conforto, di delusione, momenti in cui si piange e momenti in cui si ride insieme (quest’ultima è la parola più significativa che meglio descrive cosa accade in una seduta).

Ma soprattutto, oltre a esperire emozioni (e non è poco!), emergono e si trasformano attivamente le parti più o meno recondite di noi.

VEDI ANCHE: NELLA STANZA DELLO PSICOLOGO

 

2) Lo psicologo dà consigli

Eh no! Se ti desse dei consigli, vivresti secondo le sue regole-aspettative-scelte, e finiresti col vivere la vita che lui immagina per te.

Ma se non dà consigli, cosa fa?

Lo scopo di un percorso psicologico è di aiutare la persona che chiede aiuto a camminare con le proprie gambe, scegliendo in completa autonomia. Se una persona viene da me in studio parlandomi di una relazione complicata con il partner, il lavoro non sarà certo decidere se debba lasciarlo o meno. Si cercherà di esplorare la situazione sotto vari punti di vista e su piani differenti. Questa esplorazione darà alla persona nuovi strumenti per comprendere i suoi bisogni e per giungere a una decisione, ma il punto è che qualsiasi decisione prenderà, ci sarà arrivata da sola.

  

3) Lo psicologo è un po’ strano.

Ah ma questo è vero!

Se con “strano” intendiamo che è capace di muoversi agevolmente nella sofferenza psichica, con le adeguate “protezioni”, allora possiamo dire che una quota di follia non solo non fa male, ma lo supporta nel lavoro clinico, permettendogli di andare oltre la “normalità”.  

4) Lo psicologo è felice e sta benissimo.

Ma magari!

Si tende a vedere lo psicologo come sempre sorridente, garbato, comprensivo, gentile, che parla con tono pacato e rassicurante. Una persona perfetta, imperturbabile, libera da qualsiasi sofferenza.

Ma quanto è realistica tale immagine? Essere professionisti della salute mentale non rende immuni dal dolore, dalla rabbia, dalla frustrazione, dall’ansia, dal disagio psichico, dalla sofferenza, così come un dermatologo non è esente dai problemi di pelle o uno pneumologo da quelli polmonari.

Essendo un essere umano come tutti, può avere dei momenti di malessere o una giornata storta in cui manderebbe a quel paese chiunque. È anche per questo che lo psicologo, se crede di essere in difficoltà con il proprio lavoro, va in supervisione, cioè effettua dei colloqui con un collega, questa volta però stando dall’altra parte della scrivania. La supervisione permette allo psicologo non solo di affrontare al meglio il lavoro con i suoi pazienti, ma anche di gestire i suoi momenti di difficoltà in maniera tale che non interferiscano con la qualità del suo lavoro.

Infine, vi è anche la terapia personale: chi meglio di uno psicologo ne coglie l’importanza e il valore?!

 

5) Dallo psicologo ci vanno i deboli e gli incapaci

L’esatto opposto.

Riconoscere di avere un disagio ed essere consapevole dei propri limiti, è sinonimo di grande intelligenza. Significa che si è maturi tanto da comprendere di non essere perfetti (se credi di esserlo, ti sconvolgerà sapere che anche tu hai qualcosa che non va!) e soprattutto la capacità di chiedere aiuto nei momenti difficili.

Tutti hanno il diritto di prendersi cura di sé, e pretenderlo è un atto di coraggio degno di stima.

Oltretutto, chi dedica tempo e spazio a se stesso, lavorando sulle questioni che lo attanagliano, potrà superare “i limiti della sua programmazione originaria”.

 

6) Se ho degli amici, a cosa mi serve andare dallo psicologo?

Se abbiamo amici con cui parlare, e per di più senza spendere un centesimo, che senso ha andare dallo psicologo?

Una buona rete sociale è senz’altro un grande fattore di protezione. Tuttavia il ruolo degli amici e dei parenti è quello di sostenere, fornire sicurezza, offrire opportunità di svago, diminuire il senso di solitudine.

Questi aspetti sono molto importanti per alleviare il disagio, ma spesso non sono sufficienti; altrimenti staremmo tutti benissimo, dato che più o meno qualche amico lo abbiamo. E non esisterebbe il malessere.

Il rapporto che si instaura con un professionista è completamente diverso rispetto a quello che possiamo avere con un amico o un familiare. Lo psicologo non è concentrato su se stesso ma sul paziente e il suo mondo, e non è coinvolto nelle sue dinamiche relazionali e affettive.

La neutralità allo scenario di vita del paziente, unita ad una visione “pulita” e alla formazione adeguata, gli conferiscono una posizione privilegiata.

In più, un amico, per quanto intimo, affidabile e mosso da autentici sentimenti, fa parte della nostra sfera di vita, ha il suo schema di valori e i suoi pensieri, è connesso con altre persone con cui siamo in relazione (conosce gli altri amici, nostra madre, l’ex, etc.) e può offrirci la sua visione (seppur preziosa) da amico. Potrebbe non comprendere appieno una situazione o sottovalutarla, e in ogni caso non padroneggia strumenti clinici di diagnosi e di intervento.

 

7) Chi me lo fa fare di stare anni in terapia?!

Spesso si crede che un percorso psicologico debba per sua natura essere lungo, ma non è necessariamente così. A volte basta un lavoro relativamente breve, anche poche sedute, per “sbloccare” certi meccanismi. Si valuta insieme il tutto: se proseguire, se terminare, se lasciare una porticina aperta per un eventuale ritorno in caso di nuove necessità, se inviare ad altro professionista. Ad ogni modo è importante che sia clinicamente chiaro il perché della fine di un percorso, se si tratta di un reale raggiungimento degli obiettivi terapeutici o di una resistenza alla terapia stessa.

NB: in qualsiasi momento il paziente può esporre le sue riflessioni e interrompere il percorso.

 

8) C’è poco da fare: io sono così, non posso cambiare!

Spesso questa convinzione è un pretesto per non metterci in discussione.

Ritenerci immutabili è errato sotto qualsiasi punto di vista, poiché siamo sempre in continuo, seppur lento, cambiamento, sia fisicamente che mentalmente. Crederci in un dato modo ci induce a sollevarci dalla possibilità, e dalla responsabilità, di giocare un ruolo attivo nella costruzione di noi stessi. Per quanto disfunzionale, il nostro modo di “essere” è l’unico che conosciamo, e che in qualche modo ci ha portati a sopravvivere; e se ci fossero altre modalità più funzionali?

E poi, perché mai dovrebbe migliorare la nostra vita se non crediamo nel cambiamento?

 

9) Lo psicologo costa troppo.

Domanda provocatoria:

  • Hai idea di quanto possa costarti non andarci?

Magari spendiamo una fortuna per i tentativi di affrontare un malessere (abbigliamento, parrucchiere, estetista, cibo, sigarette, droga, alcol, shopping in generale, uscite) e sentiamo che comunque qualcosa non va.

Oltretutto, con uno sguardo più simbolico, può costarci parecchio in termini di qualità della vita (problemi di coppia, conflitti con i figli/genitori, insoddisfazione, disagio in pubblico, vita sessuale, relazione con il nostro corpo, e qualsiasi altro aspetto della vita possa compromettere il Benessere).

Ad ogni modo, chiedere l’effettivo costo e farsi quattro calcoli, anche insieme allo psicologo, è sempre lecito.

I soldi non cadono dagli alberi, così come un professionista non si è formato e specializzato grazie al fai-da-te gratuito.

Tu che valore dai alla tua salute?

 

10) È impossibile risolvere i problemi solo parlando.

Una delle convinzioni più critiche.

Tutti vorremmo cambiare in meglio la realtà che ci circonda, eppure questo è spesso abbastanza impossibile. Tuttavia possiamo trasformare ed ampliare le prospettive con cui vediamo noi stessi e tutto ciò che ci circonda.

Parlare ci aiuta a cambiare il modo con cui attribuiamo significato al mondo, modificando di conseguenza i nostri atteggiamenti e comportamenti, sbloccando stati emotivi intrappolati, sviluppando nuovi pensieri. Aspetti tutt’altro che confinati al mondo delle idee, ma con veri risvolti pratici.

Parlare, quindi, produce conoscenza:

Se conosciamo il funzionamento di un’automobile, ad esempio, non la vediamo come un semplice ammasso di lamiere, o come un mini-salotto in cui si sta seduti; scopriamo quanto potenziale abbia, che può portarci (o possiamo portarla) dove vogliamo, in poco tempo e con poca fatica; e se dovesse guastarsi, sapremmo anche cosa non va e, forse, anche ripararla.

Inoltre, le neuroscienze hanno da tempo dimostrato come il nostro cervello rimanga plastico per tutta la vita: mentre parliamo, specialmente secondo le modalità della scienza psicologica, significativi cambiamenti avvengono anche a livello cerebrale, con veri e propri nuovi percorsi neurali.

Quante volte abbiamo sperimentato una sensazione di profondo benessere, o malessere, dopo aver parlato con qualcuno?

 

11) Lo psicologo legge nel pensiero e ti capisce solo guardandoti

Finalmente il mio preferito!

Ho sentito e sento tutt’ora queste simpatiche convinzioni. Sarebbe bellissimo, ma la scienza è una cosa seria, non il tentativo di far parte della Marvel (anche se una di quelle tutine non mi dispiacerebbe). Nonostante possa esserci un intuito spiccato, si procede sempre gradatamente e nell’interesse del paziente, rispettando i giusti tempi. Quindi, anche se intuissi che sei un alieno sotto mentite spoglie, non è detto che possa giovarti il fatto di dirtelo all’istante (magari non lo sai nemmeno tu, e dirtelo prematuramente, prima di lavorare insieme sulla tua “impalcatura,” ti potrebbe far “cadere dal ponte”).

L’aumento di consapevolezza derivante dalla terapia deve essere visto come un farmaco: la consapevolezza di sé deve essere offerta nella giusta quantità, tale per cui migliora la condizione del paziente senza intaccare troppo la naturalezza con la quale vive la sua vita quotidiana.

Purtroppo però, lo psicologo non ha alcun super-potere (forse!).